Fatture false: la responsabilità solidale degli amministratori
Con Sentenza n 35314/2023 la Cassazione si esprime nel caso di sequestro del profitto dei reati di:
- utilizzo ed emissione di fatture
- per operazioni inesistenti
- nei confronti di un componente del consiglio di amministrazione di una società cooperativa integrata sociale, esercente l’attività di accoglienza dei cittadini provenienti da Paesi terzi richiedenti asilo e rifugiati politici.
Data l’assenza di deleghe ai componenti del Consiglio di amministrazione della cooperativa, i Giudici specificano che deve ritenersi gravante su tutti i consiglieri la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti in essere dal consiglio di amministrazione, da riferirsi solidalmente a ciascuno di essi.
Viene evidenziato che sono fatture per operazioni inesistenti anche quelle che si connettono al compimento di un negozio giuridico apparente diverso da quello realmente avuto tra le parti.
Viene ribadito il principio secondo il quale oggetto della sanzione di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
La fattura deve contenere una rappresentazione veritiera degli elementi in grado di incidere su aspetti fiscalmente rilevanti.
Fatture false e responsabilità solidale amministratori: il caso di specie
Nel dettaglio del caso di specie, si evidenzia che con ordinanza del 24 gennaio 2023, un Tribunale di una provincia del Lazio in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto nei confronti di un indagato in qualità di componente del Consiglio di Amministrazione della società cooperativa integrata sociale esercente l'attività di accoglienza di cittadini provenienti da Paesi terzi richiedenti asilo e rifugiati politici per i reati di cui agli artt 2 e 8 del DLgs. n. 74 del 2000.
L'indagato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, la violazione della legge processuale e il difetto assoluto di motivazione, con riferimento alla conferma della sussistenza del fumus commissi delicti per l'adozione del decreto di sequestro preventivo.
Il Tribunale del riesame si sarebbe limitato ad argomentare su un piano meramente astratto, senza avere proceduto alla ricostruzione e alla valutazione della base fattuale e senza dare risposta alla specifica deduzione difensiva sul punto
Si contesta la possibilità di riconoscere indizi di responsabilità penale, in ragione della supposta natura colposa della responsabilità derivante dalla violazione dell' art 2392 c.c. e si sostiene la mancata assunzione della veste di legale rappresentante dell'ente in capo al ricorrente, con conseguente impossibilità giuridica dello stesso di impedire l'evento.
Nel provvedimento impugnato mancherebbero argomenti che diano conto dell'avvenuta percezione, da parte dell'amministratore, di fatti rilevatori di consistenti anomalie nella gestione, del compimento di operazioni ingiustificate o comunque di situazioni societarie non conformi alla legge o allo statuto.
Il Tribunale avrebbe attribuito una responsabilità "da posizione", fondata sul solo ruolo rivestito dall'imputato in seno alla società nel periodo di riferimento.
Gli argomenti adottati dai giudici territoriali in ordine alla responsabilità dell'odierno ricorrente risulterebbero ascrivibili a un piano giuridico meramente astratto; mentre il provvedimento difetterebbe di qualsiasi descrizione concreta alla cui stregua, nel caso specifico, possano ritenersi sussistenti i gravi indizi di reità.
Nella motivazione dell'ordinanza impugnata emergerebbe una carenza assoluta in ordine alla ricognizione dei presupposti di fatto relativi al collegamento tra la posizione di consigliere di amministrazione non delegato assunta dal ricorrente e la condotta omissiva allo stesso attribuita.
La cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento, l'art. 2392, c.c., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all'interno delle s.p.a., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l'art. 2381, secondo comma, c.c.
Dovendosi perciò distinguere l'ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l'atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano, salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell'art. 2392 c.c., che prevede l'esternazione e l'annotazione dell'opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa, degli illeciti deliberati dal consiglio, anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti.
In tema di reati tributari, dunque, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione, nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull'andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all'art. 2392, c.c. (Cass. Sez. 3, n. 30689 del 4.5.2021, Rv. 282714).
Secondo la Cassazione il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio sopra enunciato, spiegando che non vi era alcuna delega riferibile ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione della società pertanto, ha ritenuto gravante su tutti i consiglieri la responsabilità solidale per gli illeciti posti in essere dal consiglio di amministrazione, che devono riferirsi solidalmente a ciascuno di essi, e in particolar modo all'odierno ricorrente che, all'epoca dei fatti contestati, era stato prima legale rappresentante e, successivamente, era stato eletto presidente del consiglio di amministrazione della medesima società.
Sul fumus commissi delicti, appare utile premettere che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, fatture per operazioni inesistenti sono anche quelle che si connettono al compimento di un negozio giuridico apparente diverso da quello realmente intercorso tra le parti.
Si è affermato da tempo il principio secondo il quale l'oggetto della sanzione di cui all'art. 2 del DLgs. n. 74 del 2000 è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale coefficiente di insidiosità che si connette all'utilizzazione della falsa fattura.
Deve comunque rilevarsi che il Tribunale ha preso in esame ogni singola compagine sociale, individuando gli elementi dai quali emerge la sussistenza del fumus commissi delicti.
In considerazione di quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.