Retrovendite o resi: fattura o nota di credito
Quella qui è analizzata è la situazione in cui un cliente, dopo aver acquistato un bene, lo restituisce al fornitore; la questione è se, in questa situazione, il fornitore debba emettere una nota di credito, oppure il cliente una fattura di vendita.
Per quanto la situazione possa essere chiara e molto comune, bisogna segnalare che quella qui esaminata non costituisce necessariamente una sola fattispecie, ma può configurarne due:
- quella del reso della merce
- oppure quella della retrovendita.
La differenza, da un punto di vista giuridico, è presto detta:
- il reso configura la restituzione di un bene nel contesto del medesimo contratto;
- la retrovendita è un nuovo contratto, che si realizza dopo che il primo, la cessione originaria, si è concluso e cristallizzato.
Detto con altre parole, il reso costituisce una risoluzione consensuale dell’operazione originaria, mentre la retrovendita è una nuova operazione di vendita.
Fattura o Nota di credito
Il reso, che costituisce la restituzione di un bene nel contesto di uno stesso contratto, che viene sciolto per mutuo consenso ex articolo 1372 del Codice civile, richiede l’emissione di una nota di credito, secondo le disposizioni dell’articolo 26 del DPR 633/72, il cosiddetto Testo unico IVA, che nell’articolo esaminato definisce appunto quando può essere emessa una nota di credito.
L’articolo 26 spiega infatti che una nota di credito può essere emessa “in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili” e “anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente”.
Invece, una volta conclusasi e cristallizzatasi la compravendita originaria, nel caso in cui poi avvenga la restituzione al fornitore del bene ceduto, per motivazioni nuove e indipendenti da ciò che è avvenuto nella prima vendita, in questo caso si realizzerà un nuovo contratto e dovrà essere emessa una nuova fattura di vendita.
La Corte di Cassazione
A maggiore chiarimento del punto, l’ordinanza della Corte di Cassazione numero 4552/2022 precisa che “muovendo dalla premessa che nei contratti ad effetti reali, detti effetti si sono ormai realizzati, almeno di regola, con la stipulazione, si ritiene che essi non possono essere rimossi con il mutuo consenso, in virtù della sua naturale efficacia retroattiva, ma solo attraverso un apposito, per così dire, «contronegozio», i.e., in caso di vendita, di una «retrovendita», un contrarius actus a mezzo del quale si crea un nuovo rapporto contrattuale in cui il dante causa assume la posizione di avente causa e viceversa per l’altro contraente, nuova pattuizione che, tendenzialmente, ridefinisce integralmente i rapporti tra le parti”.
La questione può essere delicata ed è da tenere sotto osservazione, specialmente per il cliente che restituisce il bene: infatti, nel momento in cui una operazione può essere configurata come una retrovendita, la mancata emissione della fattura con IVA può portare alla contestazione di diverse violazioni potenzialmente soggette a sanzioni anche onerose.