Segreto Professionale: ambito di applicazione per i commercialisti

Con il pronto ordini n. 203 del 19.01 il CNDCEC chiarisce l'ambito di applicazione del segreto professionale per i Commercialisti.

In particolare, veniva richiesto se un iscritto, il quale ha ricevuto dall’Agenzia delle Entrate un questionario ex art. 51. d.P.R. n. 633/1972 richiedente l’esibizione della documentazione inerente l’esecuzione della prestazione professionale resa nei confronti di un cliente, possa, in assenza di autorizzazione del cliente stesso, dar seguito alla richiesta dell’Agenzia delle Entrate, senza incorrere nelle sanzioni deontologiche, civili e penali conseguenti alla violazione del segreto professionale. 

Viene chiarito che fermo restando che sarà compito dell’iscritto valutare per quali tra i documenti richiesti può opporre il segreto professionale, in sede di risposta al questionario l’eventuale esibizione di documentazione nota, conoscibile o già divulgata nonché documentazione che rivesta un interesse prettamente economico e fiscale del cliente, può costituire scriminante dal punto di vista sia disciplinare sia penale, anche in assenza di autorizzazione della parte assistita.

Vediamo come il CNDCEC è giunto alla suddetta precisazione.

Innanzitutto, il Consiglio specifica che nell’ordinamento professionale l’obbligo del segreto professionale è previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 139/2005.

Esso dispone in via generale che “Gli iscritti nell'Albo hanno l'obbligo del segreto professionale. Nei loro confronti si applicano gli articoli 199 e 200 del Codice di procedura penale e l'articolo 249 del Codice di procedura civile, salvo per quanto concerne le attività di revisione e certificazione obbligatorie di contabilità e di bilanci, nonché quelle relative alle funzioni di sindaco o revisore di società od enti”

Il segreto professionale attiene ai fatti, informazioni e circostanze che l’iscritto apprende in ragione dell’espletamento del mandato professionale e le stesse devono pertanto mantenersi riservate e confidenziali. All’iscritto, proprio in ragione di tale prerogativa, è riconosciuto il diritto di astenersi dal rendere testimonianza nell’ambito del processo penale e civile.

L’obbligo del segreto professionale trova il suo completamento nell’art. 10 del Codice deontologico, il quale prevede che “1. Il professionista, fermi restando gli obblighi del segreto professionale e di tutela dei dati personali, previsti dalla legislazione vigente, deve mantenere l’assoluto riserbo e la riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio della professione e non deve diffondere tali informazioni ad alcuno, salvo che egli abbia il diritto o il dovere di comunicarle in conformità alla legge. 2. Le informazioni acquisite nell’esercizio della professione non possono essere utilizzate per ottenere alcun vantaggio personale del professionista o di terzi. 3. Il professionista vigilerà affinché il dovere di riservatezza sia rispettato anche dai suoi tirocinanti, dipendenti e collaboratori”.
Infine, l’obbligo di mantenere il segreto professionale si ricava anche dall’art. 622 c.p., il quale punisce la condotta di chi, avendo notizia, per ragione della propria professione, di un segreto, lo rivela senza giusta  causa.
Di conseguenza, l’iscritto che viola il segreto professionale, divulgando a terzi le notizie che gli siano state confidate da un proprio cliente, potrebbe essere chiamato a rispondere in sede disciplinare, civile e penale.
Viene quindi specificato che le norme indicate individuano quindi:

  • da un lato il dovere per l’iscritto di mantenere riservate le informazioni apprese in ragione dell’espletamento del mandato 
  • e dall’altro lato il diritto a non comunicarle e/o riferirle a terzi.

Nell’ordinamento il diritto a non divulgare le informazioni apprese in ragione dell’espletamento del mandato non solo può esercitarsi nell’ambito delle testimonianze civili e penali, come sopra evidenziato, ma anche in sede di accessi, ispezioni e verifiche disposte dagli Uffici facenti parte dell’Amministrazione finanziaria. Infatti, all’art. 52, comma 3, d.P.R. n. 633/1973 è previsto che il professionista che subisce l’accesso possa eccepire il segreto professionale relativamente a 

  • perquisizioni personali, 
  • all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, 
  • all'esame di documenti 
  • e alla richiesta di notizie. 

In tal caso la norma prevede che tali attività possano essere eseguite solo a seguito dell'autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria.
Viene inoltre sottolineato che, non essendo prevista una norma che individui quali siano i documenti o le informazioni per le quali il professionista possa opporre fondatamente il segreto professionale, si ritiene che, come rilevato da autorevole dottrina, siano esclusi dal dovere di segretezza i fatti notori, ovvero le notizie che risultano essere conosciute da un elevato numero di persone o siano state in ogni caso divulgati dalla stessa parte assistita

La Guardia di Finanza, con la circolare n. 1/2008, ha ad esempio ritenuto che “ il segreto professionale possa essere fondatamente opposto soltanto per quei documenti che rivestono un interesse diverso da quelli economici e fiscali del professionista o del suo cliente e, pertanto, quando i documenti non presentano alcuna utilità ai fini fiscali; non pare quindi che possa essere eccepito il segreto professionale per le scritture ufficiali né per i fascicoli dei clienti, limitatamente però, per quanto attiene a questi ultimi, all’acquisizione dei documenti che costituiscono prova dei rapporti finanziari intercorsi fra professionista e cliente”.
In conclusione, fermo restando che sarà compito dell’iscritto valutare per quali tra i documenti richiesti può opporre il segreto professionale, in sede di risposta al questionario l’eventuale esibizione di documentazione nota, conoscibile o già divulgata nonché documentazione che rivesta un interesse prettamente economico e fiscale del cliente, può costituire scriminante dal punto di vista sia disciplinare sia penale, anche in assenza di autorizzazione della parte assistita.