Società di comodo: l’interpello disapplicativo è facoltativo e non condizionante
Particolari norme fiscali sono previste per quelle società commerciali che sono state costituite per il mero godimento di beni, invece che per l’esercizio dell’attività d’impresa.
Tali tipologie di imprese prendono il nome di società di comodo, e, al sussistere dei requisiti qualificanti richiesti dalla disciplina, da verificare in ogni periodo di imposta, sono soggette a un particolare trattamento fiscale penalizzante, con evidente finalità antielusiva.
Una società di comodo può qualificarsi come tale in base a due linee di variabili:
- la perdita sistemica
- e la non-operatività.
Poiché può accadere che una società si ritrovi in una o entrambe le situazioni per semplice contingenza, senza che vi sia alla base un contesto elusivo, il legislatore prevede delle causa di esclusione e di disapplicazione automatiche.
Nelle situazioni diverse da queste la perdita sistemica e la non-operatività sono annualmente verificate in sede di dichiarazione dei Redditi.
In particolare, il conseguimento dei ricavi minimi richiesti per qualificare una società come operativa si dichiara superando di un test di operatività.
Quando la società non supera il test, ma è convinta della genuinità della propria posizione, può presentare istanza di interpello disapplicativo all’Agenzia delle Entrate, secondo le regole previste per l’interpello probatorio, attraverso la quale può illustrare le motivazioni contingenti che hanno fatto ricadere la società nel contesto della non-operatività e richiedere la disapplicazione degli effetti fiscali della disciplina.
L’istanza potrà essere:
- accolta,
- accolta parzialmente,
- o rigettata.
Però, ai fini della disapplicazione delle conseguenze fiscali previste per le società di comodo, la presentazione dell’istanza di interpello non è obbligatoria e anche un eventuale rigetto non ha effetto definitivo, in quanto il contribuente ha comunque il diritto di fare valere le sue ragioni in giudizio.
Della questione si è occupata l’ordinanza 28251/2021 della Corte di Cassazione, la quale enuncia alcuni principi operativi sul tema:
- la presentazione dell’interpello disapplicativo non è necessario ai fini della disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, in quanto è comunque diritto del contribuente far valere le sue ragioni in sede di giudizio;
- il contribuente ha il diritto di non applicare gli effetti fiscali della disciplina anche quando l’istanza è rigettata dall’Agenzia delle Entrate, senza doverla necessariamente impugnare per evitare la cristallizzazione dei suoi effetti: è infatti possibile impugnare anche gli atti successivi, conseguenti alla mancata applicazione delle norme antielusive;
- in riferimento all’IVA, la società ritenuta non-operativa può portare in detrazione l’imposta anche quando non ha presentato interpello disapplicativo.
In definitiva, quindi, l’interpello disapplicativo può essere considerato un atto accessorio utile a risolvere in via amministrativa talune posizioni di evidente soluzione, senza che il rigetto (o la mancata presentazione) dell’istanza condizioni il fatto essenziale che la valutazione della questione spetterà poi, in sede di contenzioso, al giudice di merito, davanti al quale il contribuente potrà esporre in modo organico ed analitico le motivazioni che hanno impedito alla società di superare il test di operatività.