Infarto per eccesso di lavoro: basta il nesso causale per il risarcimento

Per il risarcimento del danno biologico  al dipendente che ha lavorato  con ritmi e turni  intollerabili è sufficiente provare il nesso causale tra le condizioni di lavoro e l'evento traumatico . Ciò ribalta sul  datore di lavoro  l'onere di provare di aver adottato tutte le misure possibili per salvaguardare la salute del lavoratore.

Questa in sintesi la conclusione  esposta  nell'ordinanza n. 6008  2023 della  Corte di Cassazione. 

Vediamo maggiori dettagli sul  caso in questione sulle motivazioni   e sui precedenti della giurisprudenza di legittimità

Il caso del dirigente medico  con  ritmi eccessivi di lavoro 

A.A., dirigente medico di primo livello ì, che subiva un infarto del miocardio dopo anni di turni e rimi di lavoro insostenibili , aveva citato in giudizio la  ASL datrice di lavoro per chiedere il  risarcimento del danno biologico  conseguente all'evento,  che considerava causato dal sottodimensionamento dell'organico  aziendale. Aveva ottenuto già l''equo indennizzo per cause di servizio in sede amministrativa 

La sua domanda veniva respinta sia  il Tribunale di Lanciano, in funzione di giudice del lavoro, che dalla corte di appello de L'Aquila , i quali escludevano   la responsabilità dell'ASL  tenuto conto  che  questa  non aveva il potere di aumentare l'organico e di assumere altri ortopedici, nè di rifiutare  ricoveri e prestazioni ai pazienti.

La corte d'appello  in particolare  rimarcava che il ricorso del lavoratore era mancante dell'indicazione di "ben   determinate norme di sicurezza", 

Nel ricorso del medico si affermava  invece che  per  l'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno,  il lavoratore deve provare solo che le prestazioni di lavoro siano state rese in condizioni nocive ed evento, mentre spetta al datore di lavoro  provare di  avere fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Risarcimento del danno, onere della prova e accertamenti medico legali

La Cassazione, come detto,  concorda  con il rilievo del ricorrente e   cassa la sentenza,  rinviando per un nuovo giudizio . 

Sottolinea infatti che :

  • non spetta al lavoratore  individuare la violazione di una specifica norma  prevenzionistica (Cass. 25 luglio 2022, n. 23187), 
  • la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, "è in sè un inesatto adempimento all'obbligo di sicurezza,che non necessita di altre specificazioni,  pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche" (Cass. n. 34968-  2022).
  • Il tema della mancanza di autonomia della ASL nella decisione di   assumere altro personale medico non è rilevante   in merito al mancato  assolvimento degli  oneri di allegazione e di prova  Si tratta, infatti, di  una circostanza che potrebbe  considerarsi  "diversa causa che rendeva l'accaduto a sè non imputabile", ovverosia  di un aspetto che ricade nell'ambito dell'onere della prova liberatoria   sul datore di lavoro .

Infine viene stigmatizzata anche l'affermazione della decisone di appello secondo cui l'appellante avrebbe dovuto " allegare e provare , quali concreti svantaggi, privazioni ed ostacoli sono derivati dalla menomazione denunciata" e che a tale carenza non "sembra potersi supplire attraverso  un accertamento medico-legale.

Al contrario la corte di legittimità afferma che  "è evidente che il nesso causale rilevante ai fini del riconoscimento dell'equo  indennizzo per la causa di servizio è identico a quello da provare ai fini della condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, quando si faccia riferimento alla medesima prestazione lavorativa

e al medesimo evento dannoso (v. Cass. nn. 34968-2022 e 23187-2022). Il fatto che sia stata  riconosciuta in sede amministrativa la causa di servizio ai fini dell'equo indennizzo e che sia stata  prodotta in giudizio la relativa documentazione, se non vale come prova legale (vincolante per il  giudice) del nesso causale, ben potrebbe essere prudentemente apprezzata, come prova sufficiente di quel nesso, in mancanza di elementi istruttori di segno contrario  (Cass. n. 23187-2022)."