Minaccia di licenziamento ed estorsione: nuova pronuncia
Una nuova sentenza di Cassazione ribadisce un concetto già consolidato nella giurisprudenza , per cui configura reato di estorsione la minaccia di licenziamento del datore di lavoro a un dipendente nel caso questo sia indotto ad accettare le condizioni peggiorative rispetto a quanto previsto formalmente nel contrato di lavoro . Si tratta in particolare della sentenza della sezione penale 29047 del 5 luglio 2023.
Nel caso specifico una società di servizi del settore socio-sanitario avevano minacciato di licenziamento i dipendenti che erano stati costretti ad accettare:
- la non conformiàa dello stipendio ricevuto rispetto a quanto stabilito per contratto e
- l'obbligo di segnare giorni di ferie in realta non goduti.
I giudici della Suprema Corte affermano che il comportamento di soci della società datrice di lavoro configura il reato di estorsione ai sensi dell'articolo 629 c.p. e rinviano il caso ai giudici di merito.
Minacce dal datore di lavoro: reato di estorsione
Allo stesso modo con la sentenza n.629 dell’11 gennaio 2023, la Corte di Cassazione si era pronunciata sul caso di datore di lavoro che con la minaccia di non retribuire una dipendente, le aveva chiesto a di firmare un foglio in bianco e di ritrattare alcune dichiarazioni rese agli ispettori INAIL .
La sentenza era stata emessa dalla Corte di appello che riconosceva nel caso applicabile la definizione di estorsione del Codice penale per il quale il reato si realizza nel momento in cui il soggetto obbliga una persona a compiere un atto, mediante violenza o minaccia di una conseguenza futura, con l’intento di procurare un profitto ingiusto a sé o ad altri. Il datore di lavoro ha fatto ricorso per Cassazione .
Gli Ermellini confermano quanto deciso dalla Corte territoriale in quanto la prospettazione del licenziamento è idonea ad integrare gli estremi della minaccia, con la conseguenza che i Giudici del merito, nel ravvisare nella condotta dell'imputato il delitto di tentata estorsione, hanno fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla Suprema Corte, nella pronuncia della Sez. 2, n. 3724 del 29/10/2021. In quell'occasione era stato statuito infatti che "integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate."
Nel caso in esame, si sottolinea che il potere di autodeterminazione della vittima è stato compromesso dalla minaccia del licenziamento ed essa è stata posta concretamente in uno stato di soggezione.
La corte aveva anche specificato che :
la successiva regolarizzazione del rapporto di lavoro non ha rilevanza per il perfezionamento del reato.
il caso non costituiva semplice violenza privata in quanto tale reato non comporta il vantaggio economico assicurato dall'estorsione che si era invece realizzato nel caso di specie.
Venivano quindi confermate le misure sanzionatorie con il diniego delle attenuanti generiche in quanto lo stato di incensuratezza dell'imputato non ha rilevanza mentre sussiste l'aggravante della recidiva che comporta un aggravio di pena non superiore ad un terzo.