Reato la mancata risposta all’ Ispettorato del lavoro
Con la sentenza 5992 del 12.2.2024 la Cassazione torna sul tema della mancata risposta a richieste di informazioni effettuate dall'ispettorato del lavoro e ribadisce che l'omissione da parte del datore di lavoro costituisce reato ex art. 4 della legge n. 628/1961 sia per dolo che per colpa.
Si ricorda che in materia si era già espressa pochi anni fa specificando le modalità di calcolo deI termine di prescrizione per una violazione simile .
Vediamo di seguito i dettagli sui due casi.
Reato di mancata risposta a richiesta via pec dell’INL
Il caso riguardava l'amministrazione unico di una società che a seguito di richieste dell'ispettorato del lavoro prima via Pec e poi tramite raccomandata, non aveva fornito la documentazione richiesta, inerente i rapporti di lavoro instaurati con una dipendente, impedendo di fatto lo svolgimento dell'attività di vigilanza.
Il ricorrente era stato condannato dal Tribunale al pagamento di una ammenda di 300 euro ( con pena sospesa ai sensi dell'art. 164, comma primo, cod. pen.), e ricorreva in Cassazione .
Nella difesa affermava di non essere venuto a conoscenza delle richieste avanzate dall'Ispettorato del Lavoro in quanto la raccomandata giunta in data 23 settembre 2020 era stata consegnata al portiere dello stabile, e non era stata poi inviata la c.d. raccomandata informativa, contenente l'avviso di deposito, contrariamente a quanto considerato obbligatorio da una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione.
Inoltre l'invio precedente a una casella di posta elettronica certificata non aveva , in quanto era stata sottoposta a sequestro nell'ambito di un altro procedimento penale concernente reati tributari a far data dal 15/07/2020 e comunque inoltrata alla società – e non all'amministratore e rappresentante legale.
La Cassazione nella sentenza evidenzia invece come l'esame dei fatti sia emerso che il ragioniere della società aveva affermato dì essere venuto a conoscenza della richiesta, proveniente dall'Ispettorato del lavoro via Pec alla società, ma tuttavia di non aver mai esibito la documentazione richiesta
poiché essa si trovava in locali non più in possesso della società.
Ciò dimostra che il rappresentante legale, amministratore unico della società, era pienamente nella condizione di conoscere la richiesta dell'INL e avrebbe potuto e dovuto semplicemente fornire risposta circa l'impossibilità di fornire la documentazione , spiegandone le ragioni.
Si evidenzia dunque perlomeno la violazione del dovere di diligenza dell'amministratore.
La Suprema Corte precisa infatti che il reato ha natura di contravvenzione per la quale rilevano sia il dolo che la colpa, che sono titoli soggettivi dell’imputazione.
Reato di mancata risposta a INL: la prescrizione
Nella sentenza 43702/2019 della Corte di Cassazione era stato inoltre affermato che la mancata risposta a richieste di informazioni da parte dell'Ispettorato del lavoro a seguito di accertamenti è reato "permanente" con termini di prescrizione prolungati ovvero che decorrono dalla data della sentenza di primo grado, non dal momento della commissione del reato stesso .
Il caso riguardava il legale rappresentante di una società di capitali, che aveva omesso di consegnare alla Direzione territoriale del lavoro notizie e documenti che gli erano stati legalmente richiesti in data 6 settembre 2013; anch' egli condannato alla relativa pena pecuniaria prevista dall'articolo 4 della legge 628/1961 . La sentenza di primo grado aveva specificato che per il reato la prescrizione sarebbe scattata a novembre 2019 mentre la difesa nel ricorso in Cassazione affermava che il reato era già prescritto al 26 settembre 2018, a cinque anni dal termine per la consegna della documentazione richiesta, decorso inutilmente.
La Cassazione rigetta il ricorso e conferma l'interpretazione dei giudici di merito in tema di prescrizione di questo reato.
Si sottolinea che il reato si realizza in due forme:
- forma “commissiva”, quando il destinatario della richiesta, risponda con notizie o informazioni e documentazione diverse da quelle richieste, o
- in forma “omissiva” quando viene omessa la risposta
In questo secondo caso i giudici della Suprema corte affermano che si configura un reato permanente, che si protrae fino a quando non intervenga il soddisfacimento della richiesta oppure fino alla notificazione del decreto penale di condanna ovvero fino alla sentenza di primo grado, ed è solo da quella data che scattano i termini per la prescrizione.